s.m. o scarabattola s.f. 1. mobiletto a vetri nel quale si ripongono oggetti di valore, ninnoli più o meno preziosi ecc. 2. edicola a vetri che espone immagini e oggetti sacri.
Allora tu fai cosi. Te le do io le istruzioni, non devi nemmeno troppo attivare il cervello. Lascia i neuroni in stand by. Dicevo. Apri la scatola e tira fuori i pezzi. Il piano di plastica mettilo da parte. Quello ci serve dopo. Poi prendi le due gambe, non le tue, quelle del tavolo, e incastrale dolcemente nel piano orizzontale. E adesso fai lo stesso con le altre due. Cooooosì. Perfetto. Ma sai che sei un genio? Aspetta. Ora appoggiaci sopra la parte trasparente. Che te ne pare? Niente male no?
Chi l’avrebbe mai detto che una scatola si trasformasse in un tavolino. Ma poi CHE tavolino. Un portacose. Uno scarabattolo. Uno svuotacuore. Un tavolo magico che ci metti sopra e ci fai stare dentro. Ma non un cassetto che nasconde. Un vetro che scopre. Perché le cose dell’anima mica detto che le devi celare. Puoi anche mostrarle così, metterle in vetrina, tanto soltanto tu sai davvero il perché e il per come del loro stare. Ci puoi mettere ricordi,
malinconie, reliquie del presente, memorie del passato. Le combinazioni possono
essere audaci, sottili i criteri di accostamento, impertinenti le vicinanze. Ma è proprio lì
che sta la bellezza,
nel mescolare le cose dell’anima, non dargli ordine. Solo farle
salire in superficie. E poi lasciarle così.
Sgangherate. Senza tempo e cronologia. Non
c’è un prima e un dopo. Ma un qui e un’ora.
Un adesso, ecco. Mi piace chiamarla
integrazione “oggettiva” cioè degli oggetti. Le cose
che stanno. Si trovano un posto.
Lì. Dentro. Allo stretto. Senza prepotenza. Finalmente.
Molti mondi che convivono.
Stravaganze. Mescolanza impura e per questo purissima. LUCIANA LITTIZZETTO